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MARROCCO RAFFAELE

NICCOLÒ GAETANI ED AURORA SANSEVERINO

(in Archivio Storico del Sannio Alifano, Anno IV, nn. 10-11-12, Gennaio-Dicembre 1919, pp. 3-7)

 

 

(le seguenti pagine sono tratte dal CD multimediale di Valentino Nassa realizzato nell’estate 2005)

 

 

Una coppia principesca di nostra terra, fiorita tra il Secolo decimosettimo e quello successivo, più che ai fasti del feudo e della Casa, intese, come missione, il culto per le arti, divenute – in conseguenza della vita civile del tempo – vuote di contenuto ed organismo privo di verità. A questo culto essa unì un singolare mecenatismo per gli artisti, ai quali, affidando notevoli lavori, dette loro motivo di condurre l’arte verso maggiori splendori.

Niccolò Gaetani ed Aurora Sanseverino furono queste due anime elette. Essi, più di ogni altro personaggio di famiglia, dettero maggior lustro alla potentissima Casa, che ha annoverato due papi, dei viceré, dei porporati ed uomini d’armi[1].

L’uno, Luogotenente Generale di Carlo II[2], Gentiluomo di Camera, Cavaliere di San Gennaro e delle Chiavi d’Oro, e Gran Giustiziere del Regno[3], fu autore di pregevoli scritti di non poca notorietà[4]; l’altra, avvenente nelle fattezze e più di tutto dotata di pregi spirituali, fu autrice, sotto il nome di Lucinda Coritesia, di poesie su stile petrarchesco e collaboratrice di accademie letterarie fiorenti in quel tempo[5].

Artisti anch’essi e ricchi di censo, sì che potevano estrinsecare, sotto ogni forma, il loro protezionismo, determinarono la trasformazione del loro grandioso e vetusto palazzo di Piedimonte, fatto già bersaglio, tre secoli innanzi, dalla Congiura dei Baroni[6] e che fu anch’esso teatro di lotte, di fasti e di paurosi avvenimenti. Quivi essi chiamarono da Napoli architetti, decoratori, pittori e scultori. In un periodo di oltre un trentennio si costruiscono nuovi appartamenti, ricchi di decorazioni. Nell’atrio s’erge una fontana con aggruppamenti di aquile reali. Si formano camini e portali superbi; si costruisce il teatro[7], e per la villeggiatura estiva, si trasforma una casa colonica in Casino di delizie.[8]

Gli appartamenti contengono già svariati affreschi. Si dipingono i ritratti dei più insigni antenati in ordine di primogenitura[9]; quadri religiosi e profani; episodi storici e mitologici; scene campestri e tele di fiori e frutta. Franco Solimene, l’astro maggiore, tiene campo. Attorno ad esso gravitano le costellazioni minori: il De Matteis, il Loht, il Cusati, il Nani, il Brandi, l’abate Belvedere, il Martoriello, il De Dominici, ed infine, tra i dilettanti, il Giovo, mentre il Catuogno lavora un camino di stucco, ricco di copiose ornamentazioni.

Al mantenimento di questa schiera di artisti provvede la coppia principesca con prodigalità signorile senz’ombra di generosità avvilente. Tutti alloggiano nello stesso palazzo feudale, e spesso il convito è in comune.

Si forma così, nella Casa dei nostri principi, una Corte intellettuale rispondente, del resto, all’indole e al sentimento dei feudatari e degli artefici. Vi fanno parte Simone Barra[10] da Piedimonte, Segretario della Casa, Membro dell’Accademia del “Caprario”[11] creata dal Principe e dalla Principessa di Colubrano: Francesco Carafa e Fausta Pignatelli; Giovanni Antonio Riozzi, da Atina, anch’egli discreto pittore[12], pure della stessa Accademia; e il dilettante di pittura Niccolò Giovo[13], letterato napoletano l’Eupidio dell’Accademia in parola.

Spesso s’interrompe l’intenso lavoro per dar posto allo svago. Solimene lascia il pennello e declama dei versi alla nobile dama[14]; artisti drammatici e di canto, venuti da Napoli, rappresentano produzioni teatrali in gran parte scritte dallo stesso Belvedere[15]. Il pennello viene così alternato dalla declamazione, dall’azione scenica e dal canto... Il pittore trova l’opportunità di trarre dalla sua fantasia nuovi motivi da fissare sulla tela. E così, tra il lavoro e lo svago, il mecenatismo dei due principi si svolge e si afferma. Solimene ci dà la rappresentazione dell’Aurora – dal nome della principessa – con gli Amorini che preparano il Carro tra le nubi, col vecchio Tritone, con la Fatica ignuda, in piedi, e col Sonno che cade dal letto[16]; indi i due ritratti ovali di Niccolò Gaetani e di Aurora Sanseverino effigiata in costume di Rebora Profetessa[17]; Paolo De Matteis svolge le favole di Apollo e di Dafne, di Pane e di Siringa, intorno alle qual lo stesso Solimene dipinge Amorini ed ornamenti[18]; Onofrio Loht ci dà quadri d’indovinati aggruppamenti di fiori e di frutta, di pesca e di cacciagione[19]; Gaetano Cusati discreti ritratti, e, poi, quadri di animali, o di vasi ripieni di fiori, oltre a delle pitture a guazzo[20]; Gaetano Martoriello, in lotta invidiosa col De Dominici dichiarato pittore della Corte, dipinge paesaggi[21]; Nicola Maria Rossi una suggestiva Nascita del Bambino[22]; e infine Giacomo Nani delle tele di fiori e frutta, e scene campestri[23].

Il tentativo però della coppia principesca non raggiunge il fine desiderato: l’arte pittorica, al contrario della letteratura, rimane sempre fredda e priva di animazione, onde il sogno dei nostri principi s’infrange contro ostacoli invisibili per colpa dei tempi e dei costumi. La decadenza di quell’arte, dopo gli sporadici splendori del ‘600, precipita sempre più: ogni sforzo di resurrezione resta fiaccato di contro il secolo.

Con quel sogno termina anche la vita di Aurora Sanseverino, prima, e di Niccolò Gaetani, poi. Compianti dagli artisti e dagli uomini di lettere, i loro nomi passarono alla storia.

 

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[1] Cfr. Berardo Candida Gonzaga: « Memorie delle famiglie nobili delle Province meridionali », Vol. II, Napoli, 1875.

[2] Cfr. Onorato Gaetani di Castelmola: « Istoria generale di Casa Gaetani », Caserta, 1888. Il B. Candida Gonzaga (op. cit.) e M. Perrotta (« Note Storiche su Piedimonte d’Alife », Piedimonte, 1896), riportano erroneamente il Niccolò Gaetani quale Luogotenente Gen. di Filippo V, anziché di Carlo II, come risulta da documenti dell’Archivio Gaetani di Piedimonte.

[3] Cfr. Berardo Candida Gonzaga: op. cit.

[4] I libri di Niccolò Gaetani sono: gli « Avvertimenti intorno alle passioni dell’animo », Napoli 1732, e la « Disciplina del giovane cavaliere divisa in tre ragionamenti », Napoli, 1738, dei quali ebbe ad occuparsi anche G.B. Vico.

[5] Cfr. M. Perrotta: op. cit. – L’Aurora Sanseverino fece parte dell’Accademia degli Arcadi di Roma e degli Spensierati di Rossano.

[6] Cfr. G. Francesco Trutta: « Dissertazioni istoriche delle Antichità alifane », Napoli, 1776.

[7] Di questo teatro, in uso sino a venti anni or sono, non vi è adesso che il solo fabbricato attigua al palazzo feudale.

[8] Cfr. « Onciario-catasto del Comune di Piedimonte dell’anno 1754 » presso l’archivio municipale. In questo Onciario è riportato tra le proprietà dei Gaetani, il Casino di delizie in contrada Squedre, ove, sino a pochi anni or sono, vi si trovavano non pochi quadri malamente conservati.

[9] Questi ritratti, portanti ciascuno i nomi e i titoli dei personaggi, si conservano nel gran salone a primo piano del palazzo feudale.

[10] Confronta Bernardo De Dominici: « Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti napoletani », Napoli, 1742-1745.

[11] Facevano parte di questa prima Accademia, oltre il Barra, gli altri Pedemontani: Francesco Trutta e Niccolò Antonellis. Della seconda Accademia del 1732 – essendo cessata la prima nel novembre del 1728 – vi presero parte Giacomo Trutta e Niccolò Potenza, anch’essi di Piedimonte. Le poesie di tutti i componenti le accademie del Caprario furono raccolte in due volumi dal principe di Colubrano, il primo edito a Napoli il 1728, l’altro, pure stampato a Napoli, ma sotto la falsa data di Firenze, nel 1732.

[12] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[13] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[14] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[15] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[16] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[17] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[18] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[19] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[20] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[21] Cfr. Bernardo De Dominici: Op. cit.

[22] Di questa tela, firmata in monogramma, non vi è cenno in De Dominici.

[23] Le tele del Nani, firmate, non sono riportate dal De Dominici.